Norway to heaven

Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima toccava il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano per la scala. Genesi 28,12

Fanno 45 anni che gli Zeppelin vollero ascendere al cielo facendosela a piedi piuttosto che col dirigibile (copiando l’introduzione a Taurus degli Spirit, ma vabbè).
Dobbiamo questo pilastro del rock al profondo senso religioso di Page & Plant o al loro spiritello porcello che ascoltato al contrario inneggia invece all’angelo che scendendo la suddetta stairway vi inciampò, cadde sulla terra, si stabilì nei bassifondi e prese il nome di Belzebù?
Boh, chissà, e soprattutto chi se ne frega.
Spinto dalle grandi passioni e dalla spiritualità, dritta o storta che sia, spesso l’uomo sforna capolavori, alla faccia dell’iconoclastia e di quelle capre da scanno dell’IS che scamazzano pericolosissimi strumenti musicali.

Capolavoro verso il cielo, di tutt’altra estrazione stilistica e non certo al livello storico della scala zeppeliniana ma comunque bello bello bello, anche il recente “Pillar to heaven” di Sinikka Langeland che conclude il nuovo lavoro della kantelista norvegese, “The magical forest”, uscito per la ECM nel luglio di quest’anno.
Una mistura compiuta e struggente di folk nordico, jazz e musica sacra.
Solenne e magico nell’arpeggio iniziale, la voce precisissima della Langeland che va a incunearsi come una lama calda nelle ampie risonanze armoniche del kantele, l’ingresso placido e rilassato della ritmica, gli arabeschi discreti di tromba e sax poi e infine il climax del coro e la testa se ne va veramente per le vie celesti.
Complici anche progressioni armoniche di una certa efficacia (in testa risuonano frammenti di Kern & Hammerstein e nel bridge persino un allegretto di Ludovico Van) e il testo che tra una frase in norvegese e l’altra fa trapelare un Kyrie Eleison, un Gloria in Excelsis Deo, una Maria che va a scavare nei ricordi di quando si passava l’infanzia tra incensi, pianete e crocifissi.

Il fatto è che nella musica decade ogni oggettività.
Così come nel vino abbiamo il famoso bouquet di profumi che ciascuno associa alla propria esperienza olfattiva così con la musica abbiamo sensazioni relative alla nostra personale esperienza emozionale.
C’è chi nel Sauvignon sente la pipì di gatto e chi il profumo di pesca, c’è chi fa gli scongiuri ogni volta che sente un amen e chi va in contemplazione.
A me personalmente datemi uno Stabat Mater pergolesiano “fatto a mestiere” e mi ritrovo proiettato ai tempi belli come il critico culinario Anton Ego alle prese con la ratatouille nel cartone omonimo, capace che mi scordo l’ateismo e prendo i voti (veramente sono agnostico, il che può essere anche uno scivolo migliore per eventuali scelte contemplative).

Comunque tutto il disco è degno di nota (“Sammas” e “Kamui”, che dire…), straripante di bellezza, antico e moderno, una specie di summa theologiae della carriera della Langeland.
Il valore aggiunto di The magical forest è senza dubbio l’alchimia perfetta fra musicisti di estrazione così diversa.
Il Kantele (una specie di psalterium diffuso nelle zone baltiche) e la voce di Sinikka Langeland uniti al gruppo dei jazzisti (tromba, sax, contrabbasso, una discretissima batteria) ma soprattutto al fascino delle voci del Trio Mediaeval, dalla bravura inversamente proporzionale alla fantasia con la quale si fanno chiamare, fanno di questo ennesimo capolavoro ECM un cosiddetto must have.

Peccato che la suddetta etichetta sia così tedescamente rigorosa nel diffondere sul tubo le sue cosine belle.
Del Pilastro verso il cielo non v’è traccia, ahimé, e dobbiamo accontentarci dell’unico link disponibile al materiale del disco, lo strumentale che da il titolo all’album.
Non il massimo ma tanto per avere un’idea…

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